La leptina è considerato l’ormone che rappresenta lo stato delle riserve lipidiche dell’organismo ed è secreto principalmente dalle cellule adipose bianche; in altre parole, più mangiamo e più accumuliamo grasso e maggiore è la concentrazione di leptina nel sangue. Senza addentrarsi eccessivamente negli effetti biochimici di questa sostanza, possiamo affermare chela leptina (tramite meccanismi che coinvolgono il sistema nervoso) è in grado di diminuire il senso della fame e aumentare la spesa energetica tramite la termogenesi adattativa.La termogenesi adattativa consiste nell’attività termogenica degli adipociti bruni e presumibilmente anche di quella muscolare; infatti anche nel muscolo sono presenti i recettori per la leptina e alcuni tipi di proteina UCP.In linea del tutto teorica possiamo semplificare il concetto sopra esposto (detto anche teoria adipostatica) in questo modo:introduzione di cibo -> incremento delle scorte adipose -> incremento della secrezione di leptina -> riduzione del senso della fame e aumento della spesa energetica (termogenesi adattativa) -> mantenimento del peso corporeo.Condizione opposta:digiuno -> riduzione delle scorte adipose -> abbassamento della secrezione di leptina -> aumento del senso della fame -> diminuzione della spesa energetica -> mantenimento del peso corporeo.A questo punto è lecito chiedersi perché in soggetti obesi, che hanno elevatissimi livelli di leptina, la spesa energetica (termogenesi adattativa) non compensi il grado di obesità. In questi soggetti si pensa che il deficit sia rappresentato dalla risposta recettoriale (cioè la risposta all’accoppiamento leptina-recettore cellulare) o ai meccanismi di trasporto della leptina attraverso la barriera ematoencefalica. In altre parole, esistono elevati livelli di leptina, ma non influenzano lo stato delle riserve energetiche. Questo ha portato alla formulazione del termine leptino-resistenza (concetto analogo a quello di insulino-resistenza). In termini ancora più semplici,non funziona più il meccanismo di controllo delle riserve di grasso.Nonostante non si conoscano ancora con precisione i meccanismi che portano a tale degenerazione è possibile affermare cheesistono forti evidenze a supporto del fatto che soggetti in sovrappeso e affetti da obesità diventino leptino-resistenti [4].Il contributo della leptina nel mantenimento del peso corporeo, sarebbe quindi significativo solamente per soggetti sani(cioè che non hanno il metabolismo della leptina alterato). Ciò non significa che i soggetti sani siano immuni dal sovrappeso, infatti i meccanismi della leptina probabilmente sono efficaci solamente a bilanci calorici (influenzati dalla dieta e dalla spesa energetica) che spaziano entro un certo intervallo. Inoltre non è da escludere l’esistenza di differenze interindividuali (cioè da individuo a individuo) nella risposta della leptina all’introito calorico.Sempre in soggetti obesi è stato visto come la leptino-resistenza sia fortemente associata all’insulino-resistenza; McGarry [2] ha, infatti, ipotizzato come la disregolazione del metabolismo lipidico (dovuto alla leptino-resistenza) possa avere conseguenze devastanti sull’omeostasi glicemica fino a portare all’insulino-resistenza e quindi al diabete tipo 2. È quindi possibile affermare che esistono forti evidenze che associno l’obesità allaleptino-resistenza, sia a livello centrale (sistema nervoso centrale) che periferico (muscolare), e che questa possa portare all’insulino-resistenza e di conseguenza al diabete tipo 2 [4].Altre funzioni della leptinaÈ ormai certo che la secrezione di leptina non sia influenzata solamente dal grado di adiposità e dal bilancio calorico, ma anche dalla concentrazione ematica di alcuni ormoni come il testosterone, gli estrogeni, l’adrenalina e i glucocorticoidi. Tra le altre funzioni della leptina è da ricordare il coinvolgimento nello sviluppo (fase puberale in particolar modo) e nella gravidanza; infatti si pensa che la concentrazione di leptina possa essere una sorta di informazione per i centri ipotalamici che indica la presenza di scorte di grasso sufficienti per iniziare la fase puberale o la gravidanza. Altri ruoli sono ipotizzati, ma naturalmente i risultati sono pochi; vista la sua struttura biochimica può considerarsi appartenente alla famiglia delle citochine con catene a lunga elica, cioè sostanze che fungono da messaggere tra il sistema neuroendocrino e quello immunitario.Leptina e attività fisicaNon è ancora del tutto chiara l’influenza dell’attività fisica sulla secrezione di leptina; sembra comunque che quando l’attività fisica provoca una spesa energetica non supportata dall’introito calorico (cioè quando si crea un deficit calorico) ci sia un abbassamento dei livelli di leptina, cioè una diminuzione dell’attività termogenica. Particolarmente sensibili a questo effetto sembra siano i pazienti affetti da diabete tipo 2. Oggi sta riscuotendo molto interesse il legame tra leptina e overtraining [3]. Chiaramente l’ovetraining (cioè il sovrallenamento) è una situazione molto complessa, la cui condizione principale per definirlo tale, è la situazione di calo prestativo nonostante un periodo di scarico. Si può comunque ipotizzare che un deficit calorico prolungato (testimoniato da un calo di leptina) dovuto ad allenamenti troppo dispendiosi e non supportati da una dieta adeguata possa causare uno stato di affaticamento che può sfociare nell’overtraining. Naturalmente sono necessari altri studi per chiarire questo tipo di legame, anche se la rilevazione di leptina circolante (come monitoraggio dello stato di affaticamento) sarebbe comunque un metodo di indagine a cui potrebbero rivolgersi quasi esclusivamente strutture professionistiche.ConclusioniL’organismo di un soggetto sano riesce solo in parte a compensare un introito calorico superiore alla spesa energetica; oltre un certo limite (definibile probabilmente su base individuale) è facile accumulare peso. Le modificazioni di diversi meccanismi fisiologici come quello della leptina e di altri ormoni importanti (come l’insulina, l’adiponectina, ecc.) indotti da un accumulo di peso protratto per lungo tempo, rappresentano uno degli anelli di congiunzione tra l’obesità e le malattie a essa correlate.Un regime ipocalorico troppo aggressivo, provoca (in particolar modo nei soggetti non affetti da leptino-resistenza) squilibri ormonali che possono influenzare diversi organi e il loro sviluppo. A questa affermazione dovrebbero prestare attenzione tutte quelle persone che identificano il proprio status sociale e la propria felicità solamente con il proprio aspetto fisico.Il mantenimento e il raggiungimento del peso corporeo ideale devono avere un approccio basato suconsiderazioni scientifiche.
L'eccesso di calorie innesca a livello cerebrale una risposta infiammatoria finora ignorata
Un eccesso di calorie può mandare in tilt parti del cervello, e in particolare la capacità di risposta dell'ipotalamo, che funge da quartier generale per il controllo del bilancio energetico dell'organismo. E' questo il risultato di una ricerca condotta presso l'Università del Wisconsin a Madison e pubblicata sull'ultimo numero della rivista "Cell". I ricercatori hanno scoperto che la risposta cerebrale interessa una molecola, nota come IKKß/NF-kB, che si sa essere coinvolta nei processi infiammatori di vari tessuti, cosa che porta a ipotizzare nuove possibilità di trattamento nei confronti della dilagante epidemia di obesità. "Questa via metabolica è normalmente presente, ma inattiva, nel cervello", spiega Dongsheng Cai, che ha diretto lo studio. Cai dice che non è ancora chiaro perché IKKß/NF-kB si attivi nel cervello, ma ipotizza che essa rappresenti un importante elemento dell'immunità innata. "Nella società attuale questa via è mobilitata da una diversa sfida ambientale: la supernutrizione. Una volta attivato, questo cammino porta a una serie di disfunzioni, ivi inclusa la resistenza all'insulina e alla leptina." Da studi precedenti già si sapeva che l'eccesso di nutrizione può innescare risposte infiammatorie nei tessuti periferici, dal fegato ai muscoli, portando a difetti metabolici che aprono le porte al diabete di tipo 2, ma non si sapeva che l'infiammazione e i suoi metaboliti avessero un ruolo anche nel sistema nervoso centrale. Ora i ricercatori hanno mostrato che una dieta costantemente ricca di grassi raddoppia l'attività di questa via infiammatoria nel cervello dei topi, e che essa è molto più elevata nei topi geneticamente predisposti all'obesità. L'aumento dell'attività di IKKß/NF-kB è peraltro distinta dall'obesità in sé, dato che l'infusione cerebrale di glucosio o di grassi è in grado già da sola a scatenarne l'azione. Per contro, trattamenti che portano all'inibizione dall'attività della molecola nel cervello proteggono l'animale dallo sviluppo di obesità.Mentre l'infiammazione cronica è generalmente considerata una conseguenza dell'obesità, i nuovi risultati suggeriscono che la reazione infiammatoria possa provocare uno sbilanciamento nella risposta cerebrale che porta a tale condizione. A quanto pare, osserva Cai, obesità e infiammazione sono legate a filo doppio: "L'abbondanza stessa di calorie promuove l'infiammazione, mentre l'obesità stimola a sua volta i neuroni a promuovere ulteriormente l'infiammazione in una sorta di circolo vizioso". Ora che abbiamo compreso il significato di questa strategia metabolica bisogna trasferirla nella pratica clinica. La maggior parte delle terapie antinfiammatorie attuali hanno infatti uno scarso effetto sulla molecola IKKß/NF-kB e una ridotta capacità di agire a livello cerebrale. Tuttavia le nostre scoperte offrono una prospettiva per trattare questa seria patologia." (gg)
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